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martedì 5 maggio 2015

Accabadora

Ben trovati cari book lovers,

oggi vi propongo una lettura davvero interessante, l'opera più famosa ed emblematica del lavoro di una scrittrice contemporanea: Accabadora di Michela Murgia


Scheda tecnica: pubblicato da Einaudi nel 2009 al prezzo di 18 euro, è il romanzo che ha dato maggiore visibilità alla scrittrice, dal momento che le ha assicurato nel 2010 il Premio SuperMondello e il Premio Campiello. La Murgia è nata nel 1972 a Cabras in Sardegna e, prima di dedicarsi alla scrittura e, negli ultimi anni, all'attività politica, ha svolto numerosi lavori, tra cui insegnante di religione nelle scuole, venditrice di multiproprietà, operatore fiscale, dirigente amministrativo in una centrale termoelettrica e  portiere di notte.

Ambientato intorno agli anni Cinquanta nel piccolo paese di Soreni, in Sardegna, il romanzo racconta la storia di una Fillus de anima, Maria Listru, figlia indesiderata, ultima di quattro sorelle, che viene affidata dalla madre naturale a Bonaria Urrai, vedova e sterile, ma benestante e disposta a prendersi cura della bambina come una vera madre. Maria vive quindi un'infanzia serena e piena d'amore grazie alle cure e alle attenzione della sua madre "adottiva", che durante il giorno fa la sarta ma, durante le ore notturne, svolge un'attività misteriosa e rispettata da tutto il paese.
Maria, unica a non essere a conoscenza della seconda attività della madre adottiva, cresce circondata da amore e attenzioni, finalmente accettata e protetta. Un giorno però scopre la vera identità di Bonaria: la donna è l'accabadora del paese.
La figura dell'accabadora è estremamente interessante e veramente attestata in Sardegna, secondo l'opinione della maggior parte degli antropologi. L'accabadora aveva il compito di accompagnare alla morte il defunto, qualora esprimesse il desiderio di abbandonare la vita perché ormai morente e sofferente senza possibilità di guarigione. L'accabadora, seconda e ultima madre, formulava una serie di sortilegi, di chiara matrice pagana e appartenenti a un sostrato culturale legato alla civiltà contadina pre-cristiana, e portava a compimento il desiderio del morente. Di fatto, si trattava di eutanasia.
Bonaria Urrai è l'accabadora di Soreni: quando Maria scopre la verità scappa a Torino e cerca di sfuggire da questa sconvolgente realtà. Solo dopo anni, richiamata in Sardegna al capezzale della madre adottiva morente, riesce a riconciliarsi e a comprendere l'amore per la vita e il rispetto per la morte che Bonaria le aveva sempre mostrato.
Romanzo molto affascinante, specchio di una Sardegna ancora povera e isolata, dove le tradizioni cristiane sono affiancate da antichissime pratiche pagane, perfettamente accettate e praticate dalla popolazione. Il grande pregio della Murgia è quello di immergere il lettore con parole e frasi che si fanno immagini e suoni e che ci regalano un affresco vivido e vibrante del paese e della popolazione sarda. Non solo affascinante il personaggio dell'accabadora, ma anche pregevole la padronanza stilistica della scrittrice, in grado di costruire un mondo variegato e ricco di sfumature, un mondo che mai viene giudicato ma semplicemente presentato e offerto al lettore, permettendo a lui di prendere posizione.

"Fillus de anima.
È così che li chiamano i bambini generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità di un'altra. Di quel secondo parto era figlia Maria Listru, frutto tardivo dell'anima di Bonaria Urrai.
Quando la vecchia si era fermata sotto la pianta del limone a parlare con sua madre Anna Teresa Listru, Maria aveva sei anni ed era l'errore dopo tre cose giuste. Le sue sorelle erano già signorine e lei giocava da sola per terra a fare una torta di fango impastata di formiche vive, con la cura di una piccola donna. Muovevano le zampe rossastre nell'impasto, morendo lente sotto i decori di fiori di campo e lo zucchero di sabbia. Nel sole violento di luglio il dolce le cresceva in mano, bello come lo sono a volte le cose cattive."

Voto: 4 stelline

venerdì 1 maggio 2015

Il deserto dei Tartari

Buongiorno cari book-lovers e bentrovati.

Riprendiamo la rubrica dedicata alle recensioni di libri interessanti - e non - con un libro che non potrà mancare nei vostri scaffali: Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati.


Scheda tecnica:  Dino Buzzati (San Pellegrino di Belluno, 16 ottobre 1906 – Milano, 28 gennaio 1972), è stato uno scrittore, giornalista, drammaturgo, librettista e pittore italiano. Fin da quando era uno studente collaborò al Corriere della Sera come cronista, redattore e inviato speciale. Considerato uno dei più originali scrittori italiani del Novecento, esordì nel 1933 con Bàrnabo delle montagne.
Il deserto dei Tartari l'ha consacrato nell'olimpo dei grandi autori italiani contemporanei. Edito da Mondadori al prezzo di 9,50 euro, si compone di 234 pagine.

Pubblicato nel 1940, il romanzo nasce, come racconta lo stesso Buzzati, dalla “monotona routine redazionale notturna che facevo a quei tempi. Molto spesso avevo l'idea che quel tran tran dovesse andare avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così inutilmente la vita. È un sentimento comune, io penso, alla maggioranza degli uomini, soprattutto se incasellati nell'esistenza ad orario delle città. La trasposizione di questa idea in un mondo militare fantastico è stata per me quasi istintiva”. Fonte di ispirazione per film e scrittori contemporanei, il tema attorno cui ruota il romanzo è l'inesorabile scorrere del tempo.
La vicenda è ambientata in una non ben definita terra di confine che si affaccia sul deserto dei Tartari, un tempo teatro di scontri e violente battaglie. Giovanni Drogo, subito dopo aver ricevuto la nomina di tenente, viene assegnato alla Fortezza Bastiani, ultima roccaforte prima del deserto, luogo sperduto e lontano da qualsiasi centro abitato, raggiungibile solo dopo giorni e giorni di cavalcata.
Il tenente, giovane e pieno di speranze sul futuro, cerca fin da principio di farsi trasferire da quel luogo dove tutto è immobile e dove si vive nell'eterna attesa di un nemico che non arriverà mai, perché i confini sono stati spostati da anni e i Tartari, lì, non ci sono più. La Fortezza si mostra sin dall'inizio per quello che è: un luogo dove tutto è fermo, tutto è sospeso, una prigione che destina i soldati all'oblio.
Convinto dal maggiore Matti a restare nella Fortezza per soli quattro mesi, Drogo si abitua alle rigide regole militari e alla routine che scandisce ogni momento di vita di soldati e ufficiali al punto da decidere di rimanere, con la speranza, un giorno, di fronteggiare i nemici che, secondo lui, dovranno arrivare e attaccare. La speranza di gloria e onore. Questo il motivo per cui rimane e resta per mesi. I mesi diventano anni, senza che Drogo se ne accorga. E intanto la giovinezza scorre e intanto, in città, amici e parenti proseguono nelle loro vite e nelle carriere, mentre lui, Drogo, rimane immobile, in spasmodica attesa del momento in cui anche per lui verranno gloria e onori. La giovinezza passa, la Fortezza finisce per essere quasi completamente dimenticata dai comandi dell'esercito e Drogo prosegue per inerzia la quotidianità militare, fino al giorno tanto aspettato: la venuta, dopo anni e anni di inutile attesa, di un vero esercito nemico. Però Drogo è malato e inutile: il comandante della guarnigione, il capitano Simeoni, gli ordina di abbandonare la Fortezza per lasciare spazio ai rinforzi. Sconfitto, deluso, debole, Drogo è costretto ad andarsene e a guardare gli altri prepararsi alla gloria che lui attende da tutta una vita e affrontare invece la sua battaglia personale contro la morte, che lo coglierà in un'anonima e squallida stanza di una locanda, completamente solo e dimenticato, ma non sconfitto, perché deciso ad andare incontro alla morte da soldato, senza paura.
Un romanzo magnifico, la perfetta trasposizione della vita umana, dell'inevitabile scorrere del tempo e dell'inconsapevolezza umana, la compassione – ma anche la critica – per chi proietta la sua esistenza nella speranza di "glorie e onori" futuri che condannano l'uomo all'inattività e alla inevitabile sconfitta finale.
Uno scrittore dotato di un notevole spessore compositivo e narrativo, in grado di rendere, attraverso una enorme metafora, la realtà del vivere dell'uomo contemporaneo.

"Così si continua il cammino in una attesa fiduciosa e le giornate sono lunghe e tranquille, il sole risplende alto nel cielo e sembra non abbia mai voglia di calare al tramonto. Ma a un certo punto, quasi istintivamente, ci si volta indietro e si vede che un cancello è stato sprangato alle nostre spalle, chiudendo la via del ritorno. Allora si sente che qualche cosa è cambiata, il sole non sembra più immobile ma si sposta rapidamente, ahimè, non si fa in tempo a fissarlo che già precipita verso il confine dell'orizzonte, ci si accorge che le nubi non ristagnano più nei golfi azzurri del cielo ma fuggono accavallandosi l'una sull'altra, tanto  è il loro affanno; si capisce che il tempo passa e che la strada un giorno dovrà pur finire."

Voto: 5 stelline