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martedì 2 giugno 2015

La casa in collina

Buongiorno cari book lovers,

oggi vi propongo una lettura molto interessante: La casa in collina di Cesare Pavese, uno dei maggiori esponenti della letteratura italiana del Novecento.


Scheda tecnica: pubblicato per la prima volta nel 1948 dalla casa editrice Einaudi, è oggi in vendita, in una delle numerose riedizioni, al prezzo di 10 euro. Pavese, nato nel 1908 e morto nel 1950, è stato scrittore, poeta, traduttore e saggista. Nato in un paesino delle Langhe e vissuto per quasi tutta la vita a Torino, alternò all'attività letteraria l'insegnamento dell'inglese, le traduzioni e la collaborazione con l'editore Einaudi. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, cui non prese parte in maniera attiva, si iscrisse al partito comunista e scrisse i suoi capolavori, tra cui I dialoghi con Leucò e La luna e i falò.
Morì suicida a Roma nel 1950.

Il romanzo è ambientato nelle colline a ridosso di Torino durante la Seconda Guerra Mondiale e protagonista è Corrado, insegnante di scienze, quarantenne, che, per sfuggire ai bombardamenti che sconvolgono la città, si è rifugiato presso la casa di due donne sole, Elvira e la madre. Coccolato e protetto, Corrado si limita a osservare da lontano il drammatico svolgersi dei fatti, mantenendosi a distanza e non lasciandosi coinvolgere dalle attività partigiane che nel frattempo si stanno organizzando. Nonostante il suo carattere schivo e solitario, inizia a frequentare un gruppo di persone attive politicamente e impegnate nella Resistenza che trascorrono molto tempo nell'osteria del paese, Le Fontane. Qui Corrado incontra Cate, un suo amore di gioventù, da lui abbandonata per evitare complicazioni sentimentali,  insieme al figlio, Dino, che Corrado sospetta possa essere suo figlio.
Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, quasi tutti i frequentatori dell'osteria vengono arrestati dai tedeschi, anche Cate è mandata in carcere e lascia completamente solo Dino, che si era nascosto.
Corrado quindi affida il bambino a Elvira, che poi lo condurrà a Chieri, nel collegio dove lo stesso Corrado ha deciso di nascondersi.
Se da una parte Dino scalpita per raggiungere i partigiani e combattere con loro, al punto da scappare dal collegio e inoltrarsi nei boschi, Corrado non è in grado di prendere una decisione e, pur appoggiando idealmente le cause della Resistenza, decide di tornare nella casa paterna, in quella casa in collina che nel suo immaginario rimane pura e incontaminata.
Nel romanzo di Pavese emerge forte il contrasto tra chi, Cate, Dino e gli altri, decide di lottare e affrontare la storia e le conseguenze delle proprie azioni, e chi, Corrado, si limita ad assumere una posizione di riflessione e di analisi intellettuale senza prendere veramente parte alla vicenda. Corrado, alter-ego di Pavese, analizza e sviscera non solo la situazione politica ma anche il suo rapporto con Cate e con Dino, che non arriva mai a elaborare in maniera completa, limitandosi a osservare e analizzare le dinamiche relazionali che si creano tra loro.
Il lettore segue il flusso di pensieri del protagonista, che è chiaramente presentato come un perdente, come un ignavo, incapace di prendere posizione, ma che, anzi, si allontana sempre di più da Torino e dalla Storia.
Superbo, potente, l'ordito narrativo che regge e sostiene la narrazione. La capacità di Pavese di analizzare e vivisezionare la realtà - che è poi la stessa abilità di Corrado - rendono La casa in collina un vero capolavoro della letteratura, in grado di presentare un anti-eroe, un uomo incapace di agire, e destinato alla sofferenza esistenziale, un romanzo che si conclude con una potente e accorata condanna alla guerra, la cui inutilità emerge chiaramente.

"Io non credo che possa finire. Ora che ho visto cos'è la guerra, cos'è la guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: - E dei caduti che facciamo? Perché sono morti? - Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero."

Voto: 5 stelline

martedì 5 maggio 2015

Accabadora

Ben trovati cari book lovers,

oggi vi propongo una lettura davvero interessante, l'opera più famosa ed emblematica del lavoro di una scrittrice contemporanea: Accabadora di Michela Murgia


Scheda tecnica: pubblicato da Einaudi nel 2009 al prezzo di 18 euro, è il romanzo che ha dato maggiore visibilità alla scrittrice, dal momento che le ha assicurato nel 2010 il Premio SuperMondello e il Premio Campiello. La Murgia è nata nel 1972 a Cabras in Sardegna e, prima di dedicarsi alla scrittura e, negli ultimi anni, all'attività politica, ha svolto numerosi lavori, tra cui insegnante di religione nelle scuole, venditrice di multiproprietà, operatore fiscale, dirigente amministrativo in una centrale termoelettrica e  portiere di notte.

Ambientato intorno agli anni Cinquanta nel piccolo paese di Soreni, in Sardegna, il romanzo racconta la storia di una Fillus de anima, Maria Listru, figlia indesiderata, ultima di quattro sorelle, che viene affidata dalla madre naturale a Bonaria Urrai, vedova e sterile, ma benestante e disposta a prendersi cura della bambina come una vera madre. Maria vive quindi un'infanzia serena e piena d'amore grazie alle cure e alle attenzione della sua madre "adottiva", che durante il giorno fa la sarta ma, durante le ore notturne, svolge un'attività misteriosa e rispettata da tutto il paese.
Maria, unica a non essere a conoscenza della seconda attività della madre adottiva, cresce circondata da amore e attenzioni, finalmente accettata e protetta. Un giorno però scopre la vera identità di Bonaria: la donna è l'accabadora del paese.
La figura dell'accabadora è estremamente interessante e veramente attestata in Sardegna, secondo l'opinione della maggior parte degli antropologi. L'accabadora aveva il compito di accompagnare alla morte il defunto, qualora esprimesse il desiderio di abbandonare la vita perché ormai morente e sofferente senza possibilità di guarigione. L'accabadora, seconda e ultima madre, formulava una serie di sortilegi, di chiara matrice pagana e appartenenti a un sostrato culturale legato alla civiltà contadina pre-cristiana, e portava a compimento il desiderio del morente. Di fatto, si trattava di eutanasia.
Bonaria Urrai è l'accabadora di Soreni: quando Maria scopre la verità scappa a Torino e cerca di sfuggire da questa sconvolgente realtà. Solo dopo anni, richiamata in Sardegna al capezzale della madre adottiva morente, riesce a riconciliarsi e a comprendere l'amore per la vita e il rispetto per la morte che Bonaria le aveva sempre mostrato.
Romanzo molto affascinante, specchio di una Sardegna ancora povera e isolata, dove le tradizioni cristiane sono affiancate da antichissime pratiche pagane, perfettamente accettate e praticate dalla popolazione. Il grande pregio della Murgia è quello di immergere il lettore con parole e frasi che si fanno immagini e suoni e che ci regalano un affresco vivido e vibrante del paese e della popolazione sarda. Non solo affascinante il personaggio dell'accabadora, ma anche pregevole la padronanza stilistica della scrittrice, in grado di costruire un mondo variegato e ricco di sfumature, un mondo che mai viene giudicato ma semplicemente presentato e offerto al lettore, permettendo a lui di prendere posizione.

"Fillus de anima.
È così che li chiamano i bambini generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità di un'altra. Di quel secondo parto era figlia Maria Listru, frutto tardivo dell'anima di Bonaria Urrai.
Quando la vecchia si era fermata sotto la pianta del limone a parlare con sua madre Anna Teresa Listru, Maria aveva sei anni ed era l'errore dopo tre cose giuste. Le sue sorelle erano già signorine e lei giocava da sola per terra a fare una torta di fango impastata di formiche vive, con la cura di una piccola donna. Muovevano le zampe rossastre nell'impasto, morendo lente sotto i decori di fiori di campo e lo zucchero di sabbia. Nel sole violento di luglio il dolce le cresceva in mano, bello come lo sono a volte le cose cattive."

Voto: 4 stelline

venerdì 1 maggio 2015

Il deserto dei Tartari

Buongiorno cari book-lovers e bentrovati.

Riprendiamo la rubrica dedicata alle recensioni di libri interessanti - e non - con un libro che non potrà mancare nei vostri scaffali: Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati.


Scheda tecnica:  Dino Buzzati (San Pellegrino di Belluno, 16 ottobre 1906 – Milano, 28 gennaio 1972), è stato uno scrittore, giornalista, drammaturgo, librettista e pittore italiano. Fin da quando era uno studente collaborò al Corriere della Sera come cronista, redattore e inviato speciale. Considerato uno dei più originali scrittori italiani del Novecento, esordì nel 1933 con Bàrnabo delle montagne.
Il deserto dei Tartari l'ha consacrato nell'olimpo dei grandi autori italiani contemporanei. Edito da Mondadori al prezzo di 9,50 euro, si compone di 234 pagine.

Pubblicato nel 1940, il romanzo nasce, come racconta lo stesso Buzzati, dalla “monotona routine redazionale notturna che facevo a quei tempi. Molto spesso avevo l'idea che quel tran tran dovesse andare avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così inutilmente la vita. È un sentimento comune, io penso, alla maggioranza degli uomini, soprattutto se incasellati nell'esistenza ad orario delle città. La trasposizione di questa idea in un mondo militare fantastico è stata per me quasi istintiva”. Fonte di ispirazione per film e scrittori contemporanei, il tema attorno cui ruota il romanzo è l'inesorabile scorrere del tempo.
La vicenda è ambientata in una non ben definita terra di confine che si affaccia sul deserto dei Tartari, un tempo teatro di scontri e violente battaglie. Giovanni Drogo, subito dopo aver ricevuto la nomina di tenente, viene assegnato alla Fortezza Bastiani, ultima roccaforte prima del deserto, luogo sperduto e lontano da qualsiasi centro abitato, raggiungibile solo dopo giorni e giorni di cavalcata.
Il tenente, giovane e pieno di speranze sul futuro, cerca fin da principio di farsi trasferire da quel luogo dove tutto è immobile e dove si vive nell'eterna attesa di un nemico che non arriverà mai, perché i confini sono stati spostati da anni e i Tartari, lì, non ci sono più. La Fortezza si mostra sin dall'inizio per quello che è: un luogo dove tutto è fermo, tutto è sospeso, una prigione che destina i soldati all'oblio.
Convinto dal maggiore Matti a restare nella Fortezza per soli quattro mesi, Drogo si abitua alle rigide regole militari e alla routine che scandisce ogni momento di vita di soldati e ufficiali al punto da decidere di rimanere, con la speranza, un giorno, di fronteggiare i nemici che, secondo lui, dovranno arrivare e attaccare. La speranza di gloria e onore. Questo il motivo per cui rimane e resta per mesi. I mesi diventano anni, senza che Drogo se ne accorga. E intanto la giovinezza scorre e intanto, in città, amici e parenti proseguono nelle loro vite e nelle carriere, mentre lui, Drogo, rimane immobile, in spasmodica attesa del momento in cui anche per lui verranno gloria e onori. La giovinezza passa, la Fortezza finisce per essere quasi completamente dimenticata dai comandi dell'esercito e Drogo prosegue per inerzia la quotidianità militare, fino al giorno tanto aspettato: la venuta, dopo anni e anni di inutile attesa, di un vero esercito nemico. Però Drogo è malato e inutile: il comandante della guarnigione, il capitano Simeoni, gli ordina di abbandonare la Fortezza per lasciare spazio ai rinforzi. Sconfitto, deluso, debole, Drogo è costretto ad andarsene e a guardare gli altri prepararsi alla gloria che lui attende da tutta una vita e affrontare invece la sua battaglia personale contro la morte, che lo coglierà in un'anonima e squallida stanza di una locanda, completamente solo e dimenticato, ma non sconfitto, perché deciso ad andare incontro alla morte da soldato, senza paura.
Un romanzo magnifico, la perfetta trasposizione della vita umana, dell'inevitabile scorrere del tempo e dell'inconsapevolezza umana, la compassione – ma anche la critica – per chi proietta la sua esistenza nella speranza di "glorie e onori" futuri che condannano l'uomo all'inattività e alla inevitabile sconfitta finale.
Uno scrittore dotato di un notevole spessore compositivo e narrativo, in grado di rendere, attraverso una enorme metafora, la realtà del vivere dell'uomo contemporaneo.

"Così si continua il cammino in una attesa fiduciosa e le giornate sono lunghe e tranquille, il sole risplende alto nel cielo e sembra non abbia mai voglia di calare al tramonto. Ma a un certo punto, quasi istintivamente, ci si volta indietro e si vede che un cancello è stato sprangato alle nostre spalle, chiudendo la via del ritorno. Allora si sente che qualche cosa è cambiata, il sole non sembra più immobile ma si sposta rapidamente, ahimè, non si fa in tempo a fissarlo che già precipita verso il confine dell'orizzonte, ci si accorge che le nubi non ristagnano più nei golfi azzurri del cielo ma fuggono accavallandosi l'una sull'altra, tanto  è il loro affanno; si capisce che il tempo passa e che la strada un giorno dovrà pur finire."

Voto: 5 stelline

mercoledì 18 marzo 2015

Mercurio

Buonasera cari book lovers,

con l'arrivo della bella stagione quanti libri state divorando?
Oggi parliamo di una scrittrice che già in passato ho avuto occasione di recensire (qui): Amélie Nothomb e il suo racconto Mercurio.


Scheda tecnica: pubblicato nel 1999 da Voland al prezzo di 12 euro, è uno dei tanti romanzi della scrittrice, nata in Giappone e ora residente in Francia, diventata famosa nel 1992 con Igiene dell'assassino, tradotta in trenta lingue e amatissima dal pubblico, che ogni anno ne segue le pubblicazioni.

Ambientato in un'isola sperduta e isolata dal resto del mondo, nel nord della Francia nel periodo tra le due Guerre Mondiali, Mercurio è un racconto (o romanzo breve) di 122 pagine che gioca sul tema del doppio. Protagoniste due donne, l'infermiera Françoise, giovane e disinibita, e l'ingenua e fragile Hazel. L'infermiera viene chiamata sull'isola da un capitano in pensione, preoccupato per la sua pupilla, Hazel, che vive con lui da 5 lunghi anni in un castello privo di specchi e qualsiasi materiale riflettente. Il motivo di questa stranezza risiede nel viso della giovane, deturpato e straziato in seguito a un bombardamento da cui è uscita indenne, ma completamente sola. Raccolta e amata dal capitano, un vecchio lupo di mare da cui è amata profondamente e incestuosamente, Hazel non riceve mai visite, non parla con nessuno, dedica tutto il suo tempo alla lettura.
L'arrivo dell'infermiera incrina gli equilibri del castello: Françoise si accorge dell'anomala prigionia a cui è soggetta la ragazza e cerca di farle capire che quello che ritiene essere il suo salvatore altri non è che il suo carceriere, che le ha sempre nascosto la vera natura e la vera bellezza del suo volto.
Persino il finale viene giocato sul gioco dell'ambiguità e del gioco teatrale di maschere e finzioni: la scrittrice dichiara di aver scritto due finali, entrambi validi pur nella loro differente risoluzione, lasciando al lettore la facoltà di scegliere.
Interessante la trama intrecciata dalla Nothomb che gioca molto sul rapporto tra le due donne, Hazel e Françoise, ma non solo: con un ininterrotto susseguirsi di rimandi e ammiccamenti, Hazel pare il doppio dell'antico amore del capitano, Adèle, tragicamente suicidatasi dopo 10 anni di forzata prigionia. Rimandi che proseguono nel corso del libro fino al finale aperto, doppio, per l'appunto.
Interessante la trama, adatta a una trasposizione teatrale, dove il gioco di maschere, buio e luce, specchi e vista possono essere degnamente sviluppati.
Carente lo stile. Come già notato nella precedente lettura della Nothomb, la scrittrice non brilla per stile, lascia spazio alla trama senza aggiungere nulla. Una chiara scelta, ovviamente, ma che rischia di impoverire e rendere sterile una trama che invece ha molti risvolti e tematiche interessanti.

"Per la maggior parte delle persone amare è un dettaglio della vita, alla stregua dello sport, delle vacanze, degli spettacoli. L'amore, da parte sua, dovrebbe essere concreto, quadrare con la vita che ci si è scelti. Per l'uomo, con la carriera; per la donna, con i figli. In una prospettiva simile, l'amore può essere solo una sbandata, una malattia preferibilmente breve. Di qui le caterve di luoghi comuni con finalità terapeutiche sul carattere effimero della passione. Io invece ho provato che se si costruisce il proprio destino a partire dall'amore, l'amore dura in eterno."

Voto: 2,5 stelline

martedì 3 marzo 2015

La variante di Lüneburg

Buonasera cari amici,

che ne pensate di questo libro: La variante di Lüneburg di Paolo Maurensig?
Se avete letto il romanzo e volete condividere opinioni e pensieri oppure se avete voglia di leggerlo e di parlarne potrete trovare un Gruppo di Lettura che si riunisce nella Biblioteca di Desio (MB) il secondo giovedì di ogni mese. Marzo sarà il mese di Maurensig, lettura consigliata!



Scheda tecnica: pubblicato nel 1993 da Adelphi al costo di 9 euro, è l'opera che ha fatto conoscere e apprezzare lo scrittore Paolo Maurensig, nato a Udine nel 1943, autore poi di altri romanzi, tra cui Canone Inverso.

Può una partita di scacchi proseguire per un'intera vita?
Quando i due sfidanti sono due grandi campioni, sì. Il gioco degli scacchi ha un ruolo fondamentale in questo romanzo, attorno cui ruotano le storie dei protagonisti. La vicenda prende avvio dalla morte di un ricco imprenditore tedesco Dieter Frisch, inspiegabilmente trovato privo di vita nella sua tranquilla e lussuosa casa. La trama del romanzo si avvia a partire dalla narrazione degli istanti che precedono la morte di Frisch e dalla dettagliata descrizione delle sue ultime ore di vita: venerdì sera, banale routine, rientro in treno con un amico. Frisch è un grande appassionato e maestro di scacchi, dirige una rivista specializzata ed è ossessionato dal gioco. Trascorre le ore del ritorno giocando con l'amico, come al solito, ma questa volta nella loro carrozza entra un giovane, Hans Mayer, che attira la loro attenzione e confida loro l'origine e l'evolversi della sua passione per gli scacchi. Solo quando Frisch rimane solo nella carrozza, salutato l'amico, Mayer racconterà all'uomo la storia del suo maestro, Tabori, un uomo misterioso, grande campione di scacchi, taciturno e tenebroso.
La seconda parte del romanzo sposta il focus narrativo su un lungo excursus dedicato alla storia di Tabori, ebreo, abilissimo nel gioco degli scacchi, ma costretto, con l'affermarsi del nazismo, ad abbandonare la sua passione e a subire maltrattamenti e vessazioni terribili, fino alla reclusione in un campo di concentramento, dove incontra Frisch, in passato suo rivale negli scacchi, e ora suo tremendo e crudele carceriere, disposto a tiranneggiarlo e a costringerlo a continuare con lui le partite che la guerra aveva impedito loro di giocare.
Crudo e sobrio. Senza orpelli stilistici e giochi narrativi, La variante di Lüneburg offre una storia vibrante ed emozionante, la descrizione dell'ossessione a cui il gioco degli scacchi può condurre e della perversione dell'animo umano.
Il romanzo conquista e assorbe la lettura, che è scorrevole e veloce, merito di uno stile piano ed equilibrato, dotato di chiarezza compositiva e buon ritmo narrativo. 
Consigliato.


"Chi non conosce gli scacchi è forse portato a vedere in questo gioco un'attività noiosa, adatta a eccentrici sfaccendati o a persone anziane: a gente che possegga, in ogni caso, una gran dose di pazienza e una notevole quantità di tempo da perdere.
Tutto questo è vero solo in parte, poiché gli scacchi richiedono anche una non comune energia e la freschezza mentale di un fanciullo. E se a volte il giocatore viene raffigurato nelle sembianze di un vegliardo dalla fronte corrucciata, questa è solo la rappresentazione emblematica di un'attività in cui si bruciano i giorni, gli anni, l'esistenza stessa, in una sola inestinguibile fiamma. In cambio, paradossalmente, il giocatore di scacchi assapora l'arrestarsi del tempo in un'ansia di eterno presente."


Voto: 4 stelline

venerdì 27 febbraio 2015

Canale Mussolini

Buongiorno book lovers,

come procedono le vostre letture?
Oggi vi propongo - e vi consiglio caldamente - un romanzo che ha vinto, meritatamente il Premio Strega 2010: Canale Mussolini di Antonio Pennacchi.


 Scheda tecnica: pubblicato nel 2010 da Mondadori, a un prezzo di 11 euro, è definito dallo stesso autore "l'opera per la quale sono venuto al mondo". Pennacchi, nato nel 1950 a Latina, è figlio di coloni trasferitisi da Umbria e Veneto nell'Agro Pontino, in Lazio, al tempo della grande bonifica voluta da Mussolini. Operaio per cinquant'anni, si è laureato in Lettere in un periodo di cassa integrazione e ha iniziato a scrivere. Tra i suoi romanzi Il fasciocomunismo (2003) da cui è stato tratto il film Mio fratello è figlio unico con Elio Germano.

Leggere Canale Mussolini, un romanzone storico di 461 pagine, significa immergersi nella grandiosa storia famigliare dei Peruzzi, che dal Veneto si trasferirono in Agro Pontino per bonificare il famoso Canale Mussolini, un'area paludosa e malarica, resa abitabile e coltivabile durante il fascismo.
Pennacchi copre un periodo che va dagli anni Dieci del Novecento fino alla Seconda Guerra Mondiale, sfruttando gli occhi dei Peruzzi, famiglia contadina che vive tra Rovigo e Ferrara lavorando i campi a mezzadria. Le sorti dei Peruzzi si incrociano con la storia politica del tempo: il capofamiglia assiste a un comizio del socialista Rossoni, con cui viene incarcerato, i figli maggiori, Pericle, Temistocle e Iseo partecipano alla Prima Guerra Mondiale e tornano da eroi. Matrimonio e figli allargano la famiglia che ingloba e accoglie i nuovi arrivati. I Peruzzi manifestano simpatie per il partito fascista e alcuni di loro partecipano addirittura alla Marcia su Roma del 1922. In seguito ad alcune decisioni di Mussolini (la quota 90) le vicende della famiglia vengono drasticamente sconvolte: i conti Zorzi Villa, di cui lavorano la terra, gli sottraggono tutti i loro averi e li lasciano al lastrico. Senza soldi e senza bestie, i Peruzzi decidono di affrontare il lungo viaggio fino all'Agro Pontino, nel Lazio, dove gli viene riservata una casa e un appezzamento di terreno da abitare e coltivare. Assistiamo quindi ai lavori di bonifica e all'inaugurazione di una nuova città, Latina, sotto lo sguardo attento e onnipresente di Mussolini, e agli scontri con gli abitanti del luogo che osteggiano i nuovi venuti chiamandoli Cispadani. Intanto le scellerate decisioni del Duce portano gli italiani in guerra in Etiopia: Adelchi, uno dei figli Peruzzi, parte e assiste alle drammatiche azioni contro i soldati abissini. Infine arriva la Seconda Guerra Mondiali, che porta morte e sventura, dissesti economici e crisi, in ogni famiglia italiana.
Pennacchi non intende costruire un manuale di storia: pur essendo fondamentale e determinante per lo sviluppo delle vicende, la Storia rimane un elemento di sfondo che consente all'autore di caratterizzare i personaggi e dar loro uno spessore e una profondità psicologica che difficilmente si trova negli autori italiani contemporanei. I veri protagonisti sono i Peruzzi, i loro problemi economici, i loro matrimoni e figli, il loro viaggio nel Lazio, la morte e la vita che si intrecciano in questa grande famiglia, costellata di protagonisti forti e a tratti fiabeschi, come la moglie di Pericle, Armida, che parla con le api.
Epopea italiana, epopea famigliare, scritta con un'abilità compositiva eccezionale. Il racconto è proposto da un nipote dei Peruzzi, che ha sentito il racconto e ora lo regala anche a noi, come fossimo tutti, noi lettori, intorno a un fuoco, la sera, prima di andare a dormire, durante i filò, i magici momenti dove si raccontano storie e avventure, dopo una giornata di lavoro nei campi.

"Per la fame. Siamo venuti giù per la fame. E perché se no? Se non era per la fame restavamo là. Quello era il paese nostro. Perché dovevamo venire qui? Lì eravamo sempre stati e lì stavano tutti i nostri parenti. Conoscevamo ogni ruga del posto e ogni pensiero dei vicini. Ogni pianta. Ogni canale. Chi ce lo faceva fare a venire fino qua?
Ci hanno cacciato, ecco il perché. Con il manico della scopa. Il conte Zorzi Vila. Ci ha spogliato di tutto. Derubati. Le bestie nostre. I vitelli. Le mucche con delle poppe così. Non ha idea del latte che facevamo. Con uno schizzo solo riempivamo un secchio. Non facevamo nemmeno in tempo a sederci sullo sgabello e a massaggiare un po' la tetta che via, come titillavi il primo capezzolo partiva un getto che lo riempiva. Dovevamo reggerlo forte tra le gambe perché non cadesse."

Voto: 5 stelline

lunedì 23 febbraio 2015

Dritto al cuore

Buongiorno book lovers,

oggi parliamo di un una scrittrice italiana, una delle poche che si occupa di noir attualmente nel panorama italiano: Elisabetta Bucciarelli e il suo Dritto al cuore.


Scheda tecnica: pubblicato nel 2013 da Edizioni e/o al costo di 17.50 euro, segue le vicende dell'investigatrice Maria Dolores Vergani, su cui la Bucciarelli ha scritto svariati romanzi.La scrittrice  vive e lavora a Milano. Nel 2011 ha vinto il Premio Scerbanenco per il miglior romanzo noir italiano con Ti voglio credere (Kowalski-Coloradonoir). L’autrice collabora con varie testate giornalistiche e scrive per il teatro, nel 2013 il testo dell’audiodramma L’etica del parcheggio abusivo è stato pubblicato per i tipi di Feltrinelli.

Ambientato in Valle d'Aosta, nell'ultimo villaggio walser sul'Alta Via che collega l'Italia alla Svizzera, il romanzo ruota intorno alle vicende che sconvolgono il piccolo paesino, popolato da pochissimi abitanti: una donna, chiaramente straniera, è stata misteriosamente ritrovata nei boschi, fatta pezzi e priva di vestiti. Le indagini vengono affidate al comandante dei carabinieri Michi Belga, uomo mediocre e dalla scarsa capacità organizzativa. Maria Dolores Vergani, che si trova nel paesino per una lunga vacanza in seguito a un periodo di aspettativa dal lavoro, si trova suo malgrado coinvolta nelle indagini che coinvolgeranno piano piano tutti gli abitanti del paese, arrivando anche a contemplare l'assassinio di una mucca.
La strada che condurrà alla soluzione dei delitti sarà lunga e costellata da incontri importanti: dal medico legale Marco Giaguari, affascinante ed esperto uomo con cui la Vergani intreccerà una tenera amicizia, ad Ariel, co-protagonista del romanzo, vivace e intelligente, una delle poche ragazzine che ancora vivono nel paese, insieme al nonno Zefiro, da Cianna, zio di Ariel, affetto da una grave malattia mentale che lo rende simile a un bambino, a Pietro, viziato ragazzo di città in vacanza con la madre.
Il villaggio che fa da sfondo alle indagine assume un ruolo fondamentale per comprendere il delitto stesso e la mentalità degli abitanti, persone abituate a vivere in un rapporto di relazione simpatetica con la montagna e la natura, al punto da lasciare che sia questa, e non la cosiddetta civiltà a scandire il ritmo delle loro esistenze. Su tutto troneggia la Casa, luogo mitico e fiabesco, dove un'anziana signora vive e osserva tutto, con occhi in grado di vedere ben al di là della realtà concreta.
Scritto con grande maestria e con chiara abilità narrativa, Dritto al cuore è un romanzo interessante e ben costruito: la trama e i personaggi sono coerenti e credibili, tratteggiati con pennellate sicure e solide, il delitto e le indagini che ne derivano riescono a suscitare interesse e stimolano la lettura. Molto interessante l'ambientazione, soprattutto l'atmosfera fiabesca che tinge e colora di tanti chiaro-scuri il bosco dove avviene il delitto.
Una lettura piacevole, non particolarmente complessa, che regala qualche ora di evasione.

"Femminile, verticale. Montagne madri da scalare, superare, conquistare. Mai del tutto, mai per sempre. Donne stabili, ferme solo in apparenza. Faticose da sostenere perché potenti, autodeterminate, centrate. Si va per differenza, quando non si hanno altre strategie si cerca di togliere e minare, scavando e sottraendo ciò che le tiene salde a terra."

Voto: 3 stelline