come procedono le vostre letture?
Oggi vi propongo - e vi consiglio caldamente - un romanzo che ha vinto, meritatamente il Premio Strega 2010: Canale Mussolini di Antonio Pennacchi.
Scheda tecnica: pubblicato nel 2010 da Mondadori, a un prezzo di 11 euro, è definito dallo stesso autore "l'opera per la quale sono venuto al mondo". Pennacchi, nato nel 1950 a Latina, è figlio di coloni trasferitisi da Umbria e Veneto nell'Agro Pontino, in Lazio, al tempo della grande bonifica voluta da Mussolini. Operaio per cinquant'anni, si è laureato in Lettere in un periodo di cassa integrazione e ha iniziato a scrivere. Tra i suoi romanzi Il fasciocomunismo (2003) da cui è stato tratto il film Mio fratello è figlio unico con Elio Germano.
Leggere Canale Mussolini, un romanzone storico di 461 pagine, significa immergersi nella grandiosa storia famigliare dei Peruzzi, che dal Veneto si trasferirono in Agro Pontino per bonificare il famoso Canale Mussolini, un'area paludosa e malarica, resa abitabile e coltivabile durante il fascismo.
Pennacchi copre un periodo che va dagli anni Dieci del Novecento fino alla Seconda Guerra Mondiale, sfruttando gli occhi dei Peruzzi, famiglia contadina che vive tra Rovigo e Ferrara lavorando i campi a mezzadria. Le sorti dei Peruzzi si incrociano con la storia politica del tempo: il capofamiglia assiste a un comizio del socialista Rossoni, con cui viene incarcerato, i figli maggiori, Pericle, Temistocle e Iseo partecipano alla Prima Guerra Mondiale e tornano da eroi. Matrimonio e figli allargano la famiglia che ingloba e accoglie i nuovi arrivati. I Peruzzi manifestano simpatie per il partito fascista e alcuni di loro partecipano addirittura alla Marcia su Roma del 1922. In seguito ad alcune decisioni di Mussolini (la quota 90) le vicende della famiglia vengono drasticamente sconvolte: i conti Zorzi Villa, di cui lavorano la terra, gli sottraggono tutti i loro averi e li lasciano al lastrico. Senza soldi e senza bestie, i Peruzzi decidono di affrontare il lungo viaggio fino all'Agro Pontino, nel Lazio, dove gli viene riservata una casa e un appezzamento di terreno da abitare e coltivare. Assistiamo quindi ai lavori di bonifica e all'inaugurazione di una nuova città, Latina, sotto lo sguardo attento e onnipresente di Mussolini, e agli scontri con gli abitanti del luogo che osteggiano i nuovi venuti chiamandoli Cispadani. Intanto le scellerate decisioni del Duce portano gli italiani in guerra in Etiopia: Adelchi, uno dei figli Peruzzi, parte e assiste alle drammatiche azioni contro i soldati abissini. Infine arriva la Seconda Guerra Mondiali, che porta morte e sventura, dissesti economici e crisi, in ogni famiglia italiana.
Pennacchi non intende costruire un manuale di storia: pur essendo fondamentale e determinante per lo sviluppo delle vicende, la Storia rimane un elemento di sfondo che consente all'autore di caratterizzare i personaggi e dar loro uno spessore e una profondità psicologica che difficilmente si trova negli autori italiani contemporanei. I veri protagonisti sono i Peruzzi, i loro problemi economici, i loro matrimoni e figli, il loro viaggio nel Lazio, la morte e la vita che si intrecciano in questa grande famiglia, costellata di protagonisti forti e a tratti fiabeschi, come la moglie di Pericle, Armida, che parla con le api.
Epopea italiana, epopea famigliare, scritta con un'abilità compositiva eccezionale. Il racconto è proposto da un nipote dei Peruzzi, che ha sentito il racconto e ora lo regala anche a noi, come fossimo tutti, noi lettori, intorno a un fuoco, la sera, prima di andare a dormire, durante i filò, i magici momenti dove si raccontano storie e avventure, dopo una giornata di lavoro nei campi.
"Per la fame. Siamo venuti giù per la fame. E perché se no? Se non era per la fame restavamo là. Quello era il paese nostro. Perché dovevamo venire qui? Lì eravamo sempre stati e lì stavano tutti i nostri parenti. Conoscevamo ogni ruga del posto e ogni pensiero dei vicini. Ogni pianta. Ogni canale. Chi ce lo faceva fare a venire fino qua?
Ci hanno cacciato, ecco il perché. Con il manico della scopa. Il conte Zorzi Vila. Ci ha spogliato di tutto. Derubati. Le bestie nostre. I vitelli. Le mucche con delle poppe così. Non ha idea del latte che facevamo. Con uno schizzo solo riempivamo un secchio. Non facevamo nemmeno in tempo a sederci sullo sgabello e a massaggiare un po' la tetta che via, come titillavi il primo capezzolo partiva un getto che lo riempiva. Dovevamo reggerlo forte tra le gambe perché non cadesse."
Voto: 5 stelline